La terapia Di Bella non è citotossica come la chemioterapia, non ha cioè l’obiettivo di uccidere la cellula tumorale: l’obiettivo è quello di indurne l’apoptosi, ovvero quella specie di suicidio programmato che le cellule tumorali non fanno e le cellule sane si. Quest’obiettivo si realizza attraverso l’impiego di più strumenti (vitamine, ormoni, ecc.) associati diversamente a seconda dei casi. Le azioni che così si realizzano sono 3: il blocco delle mutazioni, il blocco dei fattori di crescita ed uno stimolo apoptotico. Il blocco delle mutazioni, in particolare, è quell’azione che la chemioterapia non solo non realizza, anzi: come è scritto chiaramente negli stessi “bugiardini” dei vari farmaci chemioterapici, essi hanno un elevato potenziale di mutagenicità sia sulle cellule tumorali che su quelle sane. Le mutazioni sono quelle trasformazioni delle cellule che le rendono neoplastiche se son sane e sempre più maligne se già son neoplastiche. La malignità aumenta in quanto aumenta la capacità di superare i problemi che i chemioterapici creano alla neoplasia: è forse questo il principale motivo per il quale i risultati della chemioterapia sono quelli che ben descrive una pubblicazione scientifica chiamata Rapporto Morgan. Nella terapia Di Bella il blocco delle mutazioni è principalmente realizzato dallo sciroppo di retinoidi, una specie di opera d’arte messa a punto nei dettagli più fini (nei dosaggi delle singole molecole, nei rapporti tra loro, nella scelta delle materie prime e nel metodo di preparazione) dal Prof. Luigi Di Bella, tra i primi ad interessarsi del complesso di vitamine del gruppo A fin dal 1935, quando son state scoperte. Il blocco dei fattori di crescita è basato sul blocco dell’ormone della crescita, della prolattina e talvolta anche di altri ormoni. Della terapia Di Bella è forse questa la parte più relativamente complessa da realizzare. In presenza di questi 2 blocchi che impediscono alla cellula tumorale di difendersi, una minimale e quotidiana somministrazione per os di alcuni farmaci (usati nell’approccio oncologico a dosaggi decine di volte superiori ed in vena), è sufficiente a determinare sulla cellula tumorale un effetto proapoptotico, ovvero ad indurre la cellula a programmare la sua stessa fine.